“Posso parlare con il direttore?!” (E se fosse una… direttrice?)

“Posso parlare con il direttore?!” (E se fosse una… direttrice?)

Qualche giorno fa ho assistito ad un acceso diverbio fra una persona che era in fila davanti a me e un addetto allo sportello.

Ad un certo punto mi è stato impossibile non sentire una frase che ha colpito molto la mia attenzione:

 

“Scusi, posso parlare con il direttore?!”

 

In un lampo ho capito che la situazione era precipitata e che l’utente cercava l’appoggio di una figura con una posizione sociale di maggior rilievo.

 

E fino a qui mi era tutto chiaro…

 

Ma poi ho riflettuto maggiormente e mi sono chiesta: “ma se fosse una direttrice?!”

 

 

Perché questa persona ha dato per scontato che IL direttore fosse un uomo?

 

Probabilmente lo ha detto senza nemmeno pensarci, ha banalmente messo in atto un automatismo.

E questo ha dato il via ad una mia riflessione ben più importante:

 

Quante volte “casco” anche io in questi automatismi sul genere?

 

Quante volte capita di sentire o di vedere applicati degli stereotipi di genere?

 

Durante i miei studi universitari ho avuto la possibilità approfondire il tema del divario di genere nel mondo del lavoro: questi approfondimenti hanno  alimentato la mia consapevolezza al riguardo e  ho cominciato a fare attenzione a quanti automatismi, anche solo linguistici, si innescano continuamente nella mia quotidianità.

 

 

Ma… cosa sono gli stereotipi di genere?

 

Per rispondere a questa domanda sono partita dal suo significato letterale.

Il dizionario rispetto alla parola “stereotipo” riporta: “Opinione precostituita su persone o gruppi, che prescinde dalla valutazione del singolo caso ed è frutto di un antecedente processo di generalizzazione e ipersemplificazione, ovvero risultato di una falsa operazione deduttiva”.

 

 

Uno stereotipo di genere quindi è l’applicazione di un’opinione pre-costituita che non risponde mai ad un’analisi del presente, ma ad una generalizzazione che scatena prima un’aspettativa e poi una realtà.

 

Per tanto anche sul “genere” vivono, si trasmettono e si riproducono degli stereotipi.

 

 

Non solo; sono continuamente esercitati dagli individui anche inconsapevolmente.

 

Come?

 

Tramite abitudini quotidiane o attraverso una sottile trasmissione di una cultura che diffonde una definizione di relazioni, reazioni e comportamenti che si danno già per scontati.

Come ad esempio dare per scontato che ci sia… un direttore!

 

Trovo doveroso e importante parlarne e rifletterci perché è una problematica esistente.

È vera, è reale. Ci circonda. E si trasforma in realtà, creando poi delle differenze tra le persone e delle segregazioni.

 

 

Le ricerche sociali e gli articoli sul tema degli stereotipi di genere sono molteplici e di sicuro sono un motore fondamentale per approfondire quello che avviene nel nostro quotidiano.

A mio parere si può iniziare non solo leggendo particolari analisi statistiche e facendo delle ricerche in profondità, ma basta “semplicemente” osservare la realtà che ci circonda.

 

Io stessa mentre studiavo mi chiedevo continuamente: “ma è veramente così?”

 

E così ho cominciato ad applicare quotidianamente quello che solitamente faccio in aula per entrare in connessione con il contesto: mi sono messa in ascolto.

 

Ed ho cominciato ad acuire l’osservazione intorno a me: nelle realtà che incontro quando lavoro, ma anche nella mia sfera amicale, mentre sono in mezzo alle persone, nei gruppi che frequento, mentre ascolto le storie di altre persone…

Questo per rispondere ad una grande domanda:

si sta applicando uno stereotipo di genere?

 

E questo piccolo, ma importante esercizio di osservazione e consapevolezza mi sta dando tante risposte.

Soprattutto ha alimentato in me il desiderio di impegnarmi a prendere le distanze da un modello culturale che vive di automatismi per favorirne uno più inclusivo, più equo e che generi uno spazio di ascolto per tutti e tutte.

 

 

E tu?

Ci hai mai fatto caso?

 

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Sono Marianna Valentino, consulente e formatrice e collaboro con le organizzazioni per diffondere una cultura del lavoro consapevole, sostenibile e che offra pari opportunità a tutti e tutte.

Per raggiungere questi obiettivi, in un panorama in perenne cambiamento, utilizzo un mio metodo multidisciplinare che unisce le tecniche teatrali alle conoscenze che acquisisco nella mia continua formazione come sociologa e formatrice.

Questo articolo è parte di TEMPO REALE, una raccolta di personali considerazioni, sul mondo del lavoro attuale. 

 

Se ti interessa conoscere in modo più approfondito come come realizzare un momento di formazione  scrivi qui:

info@mariannavalentino.it

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